Ho scritto questo pezzetto, con altri simili, per una rivista che l’anno scorso ha avuto vita meno che breve, ed è stato un peccato; al che puoi imputare un certo didascalismo di norma estraneo a Jnp, che si rivolge a lettori evoluti. Absit iniuria.
Non c’è arte la cui storia non sia contesta di personaggi e di episodi pittoreschi e il jazz non ne conta di sicuro meno di nessun’altra. In particolare, le circostanze relative alla registrazione di molti dischi famosissimi presentano un materiale che, nelle mani di uno scrittore abile, si presterebbe bene a un racconto o a una sceneggiatura cinematografica.
«Brilliant Corners» è uno dei dischi più celebri di Thelonious Monk, e giustamente; contiene le versioni definitive di due delle sue composizioni più note, Pannonica e Bemsha Swing, nonché l’unica di una composizione insolita e affascinante, Brilliant Corners, appunto. A suonare è una all-stars se mai ve n’è stata una (Sonny Rollins al sax tenore, Oscar Pettiford al contrabbasso, Max Roach alla batteria, più lo sventurato Ernie Henry al sax alto), formazione quale poche altre volte capitò a Monk di guidare. Sorprende quindi che le sedute di registrazione siano state travagliatissime: Monk, sempre esigente ma in quei giorni particolarmente pestifero, cominciò subito a dare il tormento al grande Oscar Pettiford (i due, che una quindicina d’anni prima erano stati insieme nel manipolo dei creatori del bebop, non si sarebbero mai più rivolti la parola); i fiati incontrarono tali difficoltà nell’esecuzione dello spigoloso tema di Brilliant Corners che l’esecuzione che oggi ne ascoltiamo è il risultato del paziente taglio e cucito di ben venticinque diverse takes, operato dal produttore della Riverside Orrin Keepnews con una prassi all’epoca inconsueta. Infine, due delle più suggestive e poetiche invenzioni presenti nel disco, cioè l’uso della celesta in Pannonica e dei timpani in Bemsha Swing, sono frutto del caso, perché Monk si ritrovò quegli strumenti nello studio e decise lì per lì che li avrebbe impiegati. Un tratto questo d’improvvisazione, anzi, di serendipità, squisitamente jazzistico, a suggello di un disco che, pur con tutto il suo percorso accidentato, è forse il più esteticamente coerente e uniformemente godibile del suo autore.
Pannonica (Monk), da «Brilliant Corners», [Riverside] OJCCD-026-2. Ernie Henry, sax alto; Sonny Rollins, sax tenore; Thelonious Monk, piano, celesta; Oscar Pettiford, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato nel dicembre 1956.
1 commento:
Quei "pezzetti" li dovresti ripubblicare tutti, qui. Tutti illuminanti. Quanto alla sorte di quella rivista: che peccato!
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