In questi giorni, avrai notato, ho ascoltato molto Ornette Coleman. Ornette è uno dei miei ascolti ricorrenti, il che non è dire molto perché io ascolto pochissima musica, ed è il caso raro di uno che con il tempo mi piace sempre di più, perché mi sembra di capirlo sempre meglio. Lo stesso mi capita, per dire, con Mahler; vedi tu per i possibili nessi.
Mi è sempre sembrato poi che Ed Blackwell fosse il batterista ideale per Ornette, senza nulla togliere a Billy Higgins, più interattivo di Higgins e vocale come tutti i batteristi di New Orleans. Per questo nutro un affetto speciale per «Ornette!», il disco Atlantic del 1961 in cui le composizioni recano per titolo sigle corrispondenti a saggi di Sigmund Freud: qui, per esempio C. & D. sta per Civilization and its Discomfort, o sia Das Unbehagen in der Kultur, noto in italiano come Il disagio della civiltà, che in seguito sarebbe stato usato come titolo anche da Pepper Adams.
Al contrabbasso c’è il malfatato Scott LaFaro, che intepreta i bassi delle composizioni in maniera ben diversa da come faceva Charlie Haden, forse meno appropriata ma interessante. Laddove Haden e Coleman apparivano pensare misteriosamente all’unisono, LaFaro sta alle calcagna di Coleman con sollecitudine ansiosa, e in questa un po’ affannata dissincronia è il fascino della collaborazione.
C. & D. (Coleman), da «Ornette!», Atlantic 8122-73714-2. Don Cherry, cornetta; Ornette Coleman, sax alto; Scott LaFaro, contrabbasso; Ed Blackwell, batteria. Registato il 31 gennaio 1961.
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2 commenti:
la cosa più incredibile di Ornette è la sua umpermeabilità al contesto musicale che lo circonda. Ricordo un live dei Grateful Death con lui presente, dove il suo intervento spiazza completamente musicisti e pubblico, spostando l'atmosfera e il baricentro tonale. Lui imperterrito che va avanti come se stesse suonado con Don Cherry e Dewey Redman.
E poi un disco di Joe Henry (cantautore rock) dove un suo assolo è messo prudentemente alla fine del disco: anche lì rivolta la canzone e l'atmosfera, totalmente indiferente a tutto e tutti.
La sua musica, in effetti, tollera male perfino la divisione in composizioni e in dischi, è come un flusso continuo che assume forme continuamente metamorfiche. Io non sono mai riuscito a ricordarmi in che disco si trovi un certo pezzo, perlomeno nei dischi Atlantic.
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