Dovrei stare in pensiero per Gennaro Fucile? Di recente vedo quel caro uomo via via smateriarsi per (così apprendo da questo guest post) riconfigurarsi nel futuro. Mi rassicura tuttavia l’avergli visto demolire, appena due sere fa, una porzione sardanapalesca di baccalà mentecatto seguita da un dolce di cioccolatte che si sarebbe detto coreografato da Guido Reni.
Questo post da un numinoso avvenire è, in puri termini di byte, il più impegnativo mai allestito da Jazz nel pomeriggio; dico, la spataffiata, pardon, la selezione musicale dura un’ora. Questo sostanzioso saggio di musica del futuro serve se non altro a consolarmi un poco del fatto che nel 2054 sarò con buone probabilità già morto.
Non ci si lasci ingannare dalle date di registrazione (1996, 1999), perché in realtà sono fasulle, si tratta di una copertura. Questo Hanging Gardens in realtà è stato inciso nel 2054 e scivolato nel nostro tempo da una porticina di servizio spazio-temporale.
All’epoca, nel 2054, i Necks, due australiani e un neozelandese, erano un trio di stampo conservatore, non più legato agli stilemi tipici di quel post jazz ante meridiano che segnò il definitivo addio dalle forme storicamente codificate nel corso del XX secolo, ma ormai decisamente lontano dalle forme pulviscolari che prese ad assumere a partire dal 2039. Sentiti oggi, ovvero l’altro ieri, sembrano però indubbiamente avanti mille anni luce, con quelle loro composizioni in media lunghe un’ora a fare da marchio di fabbrica. Si legge su una rivista dell’epoca (gli anni Dieci del XXI secolo) questo commento di Bige Lagiutigio: «The Necks immaginano, compongono ed eseguono musica che appartiene all’ordine della trance. Possiedono un notevole senso dello swing, concepiscono lunghe reiterazioni come richiede la scuola minimalista, colorano con uso misurato dei timbri ottenendo un proprio sound come esige la tradizione pop, architettano una ragnatela di rimandi, come richiedono le più elementari norme postmoderne, ma si tengono distanti anni luce dal citazionismo (…) in The Necks il concettualismo è assente, il suono sgorga naturalmente, le trame si dipanano senza un fine apparente, agitate da un moto perpetuo, rigenerandosi all’infinito, volatilizzandosi, strutturandosi con rigore e passione. I tre musicisti davvero respirano insieme. La loro musica è fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i mantra».
Peccato che poi si siano arenati non cogliendo lo spirito del tempo che andava mutando. Forse è per questo che quando i viaggi spazio-temporali divennero low cost lasciarono nella stazione di inizio millennio alcuni dischetti nel preistorico formato compact disc, riuscendo abilmente a passare per un gruppo cosiddetto d’avanguardia. Insomma, The Necks non riescono a stare dentro gli schemi, restano insoliti per i loro contemporanei, quelli apparenti dell’altro ieri e quelli reali di ieri. Noi, invece, nel 2082, li stiamo rivalutando. È sempre tempo di revival.
Hanging Gardens (Abrahams-Buck-Swanton) da «Hanging Gardens», ReR Necks1. Chris Abrahams, piano, piano elettrico, organo, tastiere; Tony Buck, batteria, percussioni, campionamenti; Lloyd Swanton, basso elettrico e contrabbasso. Registrato a Sydney-Annandale nel settembre 1996 e nel gennaio 1999.
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6 commenti:
nonostante la rivalutazione concettualistica di questi mantra,posso assicurare i posteri che questa musica è di una bruttezza sesquipedale,nonchè di una noia mortale.
Marco: ebbi lo stesso tuo pensiero quando il Cav., presente il suo avvocato spirituale Verzé, dichiarò di poter scampare un centoventanni.
"L'importante" commentai "è che muoia prima io...".
Questo ricordo, però, mi fa capire che - a parte B. - vivere a lungo val sempre la pena. Attendo The Necks al varco.
A 8'07'' mi sono arreso.
-- A 8'07'' mi sono arreso. --
peccato, il bello comincia a 8'08''
Beh, almeno tutta la storia è degna di John Titor :)
Io ci ho anche provato eh! Alcuni suoni son proprio belli, ma sembra che tutto vada un po' troppo per le lunghe come nella famosa barzelletta della minestra, il pic-nic e il diluvio...
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