Nel 1963 Bill Evans registrò «Conversations With Myself», il «mostruoso» disco in cui sovrappose tre parti di pianoforte. Il disco si è per questa ragione portato sempre dietro un’aura di terribilità («il Finnegan’s Wake del jazz», lo definì negli anni Settanta Nino De Rose) che in realtà non merita. Anzi: ben lontano dagli esperimenti di Lennie Tristano, in cui le parti di pianoforte di sovrapponevano in un lutulento gorgo atonale (Descent into the Maelstrom) o viceversa si componevano in un mosaico illusionistico di metri che finivano per diventare indiscernibili nel loro incastro (Turkish Mambo), Evans mise in atto in «Conversations» delle tradizionali strategie di orchestratore, con un pianoforte al centro e due ai lati, e si abbandonò a una vena esornativa (è senz’altro il disco di Evans con più note…) e perfino easy listening.
Come esperimento di overdubbing si dovrà dire musicalmente più rimunerativo questo del 1967, «Further Conversations With Myself», dove le parti di pianoforte sono limitate a due e una sia pure fittizia dialettica vivacizza le esecuzioni.
The Shadow Of Your Smile (Mandel-Webster), da «Further Conversations With Myself», Verve. Bill Evans, piano. Registrato il 9 agosto 1967.
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1 commento:
disco che mi ha sempre un po' innervosito per il troppo piano...
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