Ti tengo sulla corda, ti pratico la doccia scozzese, vedi tu: dopo averti vellicato le orecchie e negli ultimi due giorni con soavità particolare, oggi te le impegno con oltre un quarto d’ora dell’imperturbabile Roscoe Mitchell, da solo alle prese con il sax soprano e con una scelta di note, ma non di suoni, ridottissima. Così Mitchell illustra questo pezzo: «Deriva da una serie di diteggiature alternative che ho escogitato per strumenti ad ancia; esse permettono all‘esecutore di emettere quarti e ottavi di tono, toni intermedî, la stessa nota con timbri diversi. (…). In questa registrazione ho tralasciato molte delle possibilità sonore, limitandomi a una certa area, soprattutto nel registro grave o medio (…)». Mitchell tiene poi a precisare come qui abbia adoperato un sax soprano curvo, dal registro inferiore più pieno e risonante.
Di recente, come avrai fatto anche tu, ho ascoltato con un certo interesse (per quanto senza entusiasmo) la musica di Steve Lehman ma senza ben capire come Lehman vi avrebbe applicato i concetti dello «spettralismo», che la critica e lui stesso richiamano a proposito di quella musica. Mi pare invece che la nozione armonico-timbrica di spettro, nonché di microtono, si trovi indagata a suo modo, esplicitamente, in questo assolo del 1978.
Rispetto alla musica di Lehman, questa può di certo qualificarsi di «jazz»solo indirettamente, se pure. È una questione alla quale io non annetto più l’importanza che solevo, o almeno che affronto con meno certezze, ma devo pur considerare che questo blog è intitolato al jazz (e di norma vi si attiene, anche piuttosto arcignamente). Tuttavia questa musica a me piace: non ha melodia cantabile, di certo non ha un ritmo coinvolgente, ma dispiega un’autentica «melodia di timbri» che è alla sua maniera incalzante.
S II Examples (Mitchell), da «The Maze», Nessa n-14/15. Roscoe Mitchell, sax soprano curvo. Registrato il 17 agosto 1978.
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2 commenti:
Come mi è già capitato di affermare, Roscoe Mitchell, ad esempio, è a mio parere compositore più interessante (o meno composto) di un Anthony Braxton, così come di tutta la scuola chicagoana e post-chicagoana, George Lewis appare il più dotato di mezzi compositivi (per quanto ben lontano dai fondamenti della tradizione africano-americana). Però, l'indagine sulla microtonalità esercitata da Mitchell (Lehman è già ben più scaltro) appare piuttosto debole, e ben poco originale, rispetto a un mondo che da Harry Partch a Kyle Gann (per parlare solo di autori americani), anche in termini di psico-acustica, è stato esplorato con ben altra sicurezza e ricchezza d'intenti. E' questo a lasciarmi dubbioso e perplesso e, in definitiva, poco entusiasta.
Sono d'accordo con te, infatti non credo che, almeno in questa istanza, l'ambito microtonale fosse l'area di esplorazione principale di Mitchell. Il presente assolo, poi, assume un significato diverso, 'strutturale', nel contesto di quel disco abbastanza spropositato che è «The Maze».
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