Riprendo brevemente il discorso cominciato l’altroieri e che tanto vivo dibattito ha suscitato (ero ironico), cioè il profilarsi di un nuovo mainstream jazzistico in cui la componente funk, magari anche soul, funga da direttrice, sostituendo il linguaggio dell’hard bop variamente declinato.
Il presente quintetto finlandese (ma il pianista è di Atene) si presenta non meno attrezzato dei tedeschi di due giorni fa ma, ai miei orecchi almeno, più interessante. Il leader Timo Lassy ha l’agio di affermarsi come improvvisatore con un suo suono (vicino a Rollins e a Dexter Gordon), cosa che il progetto complessivo di Mo’ Blow impedisce a Felix F. Falk, che deve destreggiarsi fra quattro saxofoni; le composizioni e le esecuzioni sono sì indirizzate dal funk (il piano elettrico non è qui un Rhodes ma un Wurlitzer, dal suono più asciutto e meno evocativo di una temperie stilistica) ma non rifuggono da suggestioni diverse. La sezione ritmica, con il contrabbasso acustico, è anche meno incatenata alla scansione rigorosa dei groove che non sia quella dei tedeschi.
Come è reso ben evidente dall’esecuzione della canzone di Sacha Distel La belle vie, che Lassy ricorda di sicuro in un’interpretazione di Hank Mobley, per il momento siamo sempre dalle parti di un gustoso manierismo che ben consuona, da quello che ricordo, con le scelte editoriali della casa discografica, la milanese Schema/Rearwards.
Touch Red (Lassy), da «In With Lassy», Schema Records SCCD 458. Timo Lassy, sax tenore; Georgios Kontrafouris, piano elettrico Wurlitzer; Antti Lötjönen, contrabbasso; Teppo Mäkynen, batteria; Abdissa Assefa, percussioni. Registrato nell’ottobre 2011.
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The Good Life [La bonne vie] (Distel), id.
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5 commenti:
E tra gli italiani cui accennavi l'altro ieri, quali sono quelli che secondo te meglio si muovono in questa direzione?
E' una via di rinnovamente del mainstream che a me piace molto e trovo perfettamente logica, naturale. Peraltro credo che allora tu ti sia perso, in questi anni, l'operato di gente come Tia Fuller, Christian Scott, Keyon Harrold (che purtroppo ha inciso un disco solo), Chris Brown, Marcus Strickland... tutta quella gente che ha riassorbito nel post-bop/mainstream il suono "urban", cioè soul, funk e hip hop. Nota: anche con dischi acustici, eh. Come del resto fecero, mutatis mutandis ai loro tempi, Horace Silver, Cannonball Adderley, Lou Donaldson etc.
Paolo: ricontrollo qualche cd che mi è girato intorno e ti scriverò.
Niccolò: io parlo di una tendenza che, da emergenza stilistica come nei musicisti che citi (che non conosco tutti) sembra avviarsi a essere una nuova «koiné».
Eh, infatti... è una tendenza che a me piace moltissimo e di cui sono molto contento. L'album del NEXT Collective, "Cover Art", diventerà una sorte di manifesto? Io me lo auguro. Ma la cosa interessante è che negli anni molti musicisti (quelli che ho citato, e altri ancora, vedi Jason Palmer, volendo pure Jason Moran) hanno fatto dichiarazioni che col senno di poi andavano tutti in questa direzione. Il che mi spinge, in sostanza, a preparare un guest post!
Ci conto! Fra l'altro fornirebbe al mio blog quell'«edge» di aggiornamento di cui so dolorosamente bene di essere carente…
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