Un po’ di big band, va’, che non te ne faccio sentire quasi mai.
O meglio, quasi mai big band bianche, che come ho spiegato una volta o forse due non mi vanno «a sangue», neanche quando portino nomi molto insigni come p.e. quello di Gerry Mulligan, musicista che per il resto adoro. Bada che non sto facendo affermazioni ideologiche à la B.A.M. o trovate del genere, lontanissime dal mio sentire con riguardo alla musica: ammetto solo un mio limite di ascoltatore.
Comunque fanno eccezione alla mia perplessità i primi due herd di Woody Herman e non a caso questa New York Big Band è creatura di John Fedchock, trombonista, compositore e arrangiatore nato nel 1957 in Ohio, che negli anni Ottanta lavorò molto per Herman.
Una formazione ferratissima e degli arrangiamenti ingegnosi e di buon gusto finché vuoi, davvero no-nonsense secondo l’inappariscente egida del disco, che tuttavia non posso dire mi entusiasmino. A dire il vero non mi ricordo nemmeno bene perché avessi lì questo disco, che non credo di aver mai ascoltato fino a oggi. Non potevo comunque fare a meno di farti sentire Tricotism di Oscar Pettiford, la composizione che ha dato titolo a uno dei miei dischi di jazz preferiti. In Caribbean Fire Dance, versione evirata rispetto all’originale hendersoniano, i solisti sono Rick Margitza, Barry Ries e Fedchock stesso.
Tricotism (Pettiford), da «No Nonsense», Reservoir RSR CD170. John Fedchock’s New York Big Band: Tony Kadlock, Craig Johnson, Scott Wendholt, Barry Ries, tromba e flicorno; John Fedchock, Keith O’Quinn, Clark Gayton, trombone; George Flynn, trombone basso; Mark Vinci, Charles Pillow, sax alto; Rich Perry, Rick Margitza, sax tenore; Allen Farnham, piano; Lynn Seaton, contrabbasso; Dave Ratajczak, batteria. Registrato nel maggio 2002.
Caribbean Fire Dance (Joe Henderson), id.
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6 commenti:
posso immaginare cosa ti disturba nelle orchestre bianche: una certa meccanicità negli arrangiamenti impeccabilmente eseguiti ed una brillantezza un po' da Sidol... eppure a me queste caratteristiche fanno divertire, anche se poi alla lunga stancano. ma ogni tanto danno una sferzata d'energia.
Ne riconosco infatti tutti i pregi di piacevolezza e musicalità, che tuttavia non mi danno un quinto di quanto mi dà un head arrangement di Bennie Moten del 1933. BAM!!! :-D
puertroppo uno dei piaceri nell'ascoltare un'orchestra sono i suoni e l'impatto sonoro. anche su cd si perde qualcosa, figuriami in incisioni da dinosauri.
Qualche anno fa all'Aperitivo in concerto ho sentito la big band di Charles Tolliver. Metà o più dei musicisti erano bianchi, ma l'orchestra non era "bianca", oh no.
Bianca che più non si può, invece, la big band di Dave Holland (altro musicista che ammiro grandemente).
l'uòtima fase della band di Gil Evans non era nè bianca nè nera era caotica.
Alla fine valeva molto poco, devo dire. Sembrava che non gliene fregasse più niente…
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