sabato 20 gennaio 2024

Beautiful Are Those Who Fall – Orko (Alberto Forino)

 Questo trio nemmeno recentissimo del bresciano Alberto Forino (fra l’altro un vecchio amico di Jazz nel pomeriggio, cosa che ovviamente non rileva al giudizio) si inscrive nella tradizione dei pianisti-compositori, pianisti cioè il cui stile strumentale discende da una  coltivata inclinazione compositiva e ne è informato, senza escludere che, trattandosi di musica anche improvvisata, il percorso di discendenza sia simultaneamente inverso (ascolta con attenzione Orko, una specie di pezzo programmatico del disco): penso a Herbie Nichols o a Franco D’Andrea, che di Forino è stato maestro.

    Spesso, ascoltando jazzisti di oggi, ho l’impressione di dovermi fare strada fra tante note suonate per arrivare a quelle necessarie: qui, l’impressione è di non aver sentito invece una nota di troppo; e, cosa ancora più rara almeno per me, di avere percepito un’autentica gioia del suonare da parte di Forino, di Corini e di Sala.

 Beautiful Are Those Who Fall (Forino), da «Tiny Toys», GleAM Records. Alberto Forino, piano; Giulio Corini, contrabbasso; Filippo Sala, batteria. Registrato nel dicembre 2021.

Orko (Forino), id.

lunedì 15 gennaio 2024

Our Place – Ambivalence (David Binney)

 David Binney concepisce l’idea di un disco «tipo quelli commerciali degli anni Cinquanta o Sessanta, pensavo a uno di Gene Ammons dove suona ballate della durata di due minuti e mezzo, tre», ma per fortuna la cambia in corso d’opera. 

 Per fortuna: non perché Gene Ammons non vada bene, anzi, proprio perché finora non si è sentito nessuno in grado di fare Gene Ammons meglio di Gene Ammons stesso, la cui musica è a tutti disponibilie in forma solida o liquida; chi voglia e sia capace di imitarlo sicuramente potrà divertirsi moltissimo a farlo, ma a casa sua.

Il disco si fa ascoltare con diletto a dispetto del titolo pretensioso, e più che se fosse stato la replica di un disco di Gene Ammons. Contiene anche due brevi assoli di Craig Taborn, reduce senza conseguenze apparenti da un’infatuazione jarrettiana.

 Our Place (Binney), da «A Glimpse of the Eternal», Criss Cross 1408 CD. David Binney, sax alto; Craig Taborn, piano; Eivind Opsik, contrabbasso; Dan Weiss, batteria. Registrato il 29 giugno 2021.

 Ambivalence (Mendoza), id.

venerdì 5 gennaio 2024

Ye Hypocrite, Ye Beelzebub (George Russell)

 Un musicista importante che non ho mai approfondito, e per conseguenza di rara presenza su Jazz nel pomeriggio,  è George Russell. Per la verità, temo di averlo citato qui più volte di riporto da Whitney Balliett, che una volta definì la sua musica «una parodia malevola del jazz». Non è così che la penso io, e citavo Balliett per prendermela con qualcun altro, ma è un fatto che qualcosa mi abbia sempre tenuto lontano dalla musica di Russell, per quel non tanto che ne conosco. 

 Diciamo allora che fra i miei propositi per quest’anno c’è quello di conoscere davvero George Russell; e ti prego di scusarmi se in questo post un po’ inane, una volta di più, non ho parlato di lui.

 Ye Hypocrite, Ye Beelzebub (Russell), da «The George Russell Smalltet – Jazz Workshop», Bluebird. Art Farmer, tromba; Hal McCusik, sax alto; Bill Evans, piano; Barry Galbraith, chitarra; Milt Hinton, contrabbasso; Joe Harris, batteria. Registrato il 31 marzo 1956.

mercoledì 3 gennaio 2024

Fantastic Vehicle (Ahmad Jamal)

 Un concerto inedito di Ahmad Jamal, che ci ha lasciati nell’aprile dell’anno appena trascorso; anno che pare essere stato difficile un po’ per tutti, oltre che per le patenti sciagure collettive, anche a livello personale – quanto a me, ne dia testimonianza lo stato di questo blog, abbandonato e negletto per un anno intero, come mai era successo prima. 

 Nel 1968 Jamal suonava benissimo au courant, sempre a modo suo, lontano dagli stilemi di qual si voglia avanguardia: uno di quei musicisti che mi piace definire devoti a una particolare avanguardia dell’anima più che del linguaggio (un altro: Jelly Roll Morton) e che per questo mai rischiano di essere lasciati indietro.

 Fantastic Vehicle (J. Kennedy), da «Emerald City Nights Vol. 3», Jazz Detective. Ahmad Jamal, piano; Jamil Nasser, contrabbasso; Frank Gant, batteria. Registrato il 26 aprile 1968.

mercoledì 11 gennaio 2023

Summertime – Lowland-ism – Catwalk (Bennie Green)

 Nel 1927 James Weldon Johnson (1871-1938) pubblicò una raccolta di poesie intitolata God’s Trombones: Seven Negro Sermons in Verse, ispirata all’oratoria sacra afroamericana. 

 La dice lunga che il poeta scegliesse il trombone come voce vicaria della spiritualità cristiana degli africani negli Stati Uniti. Questo strumento, che il jazz ha reinventato come tutti quelli che ha fatto suoi, esprime una qualità vocale e, appunto, oratoria, tipicamente afroamericana, soprattutto nei trombonisti del jazz premoderno e, fra i moderni, in uno stilista straordinario come Bennie Green, che ti ho presentato diverse volte su Jazz nel pomeriggio

 Green, nato a Chicago nel 1923, morto nel 1977, fece parte della leggendaria orchestra di Earl Hines che comprendeva Parker, Gillespie, Billy Eckstine e Sarah Vaughan e suonò poi e registrò con i grossi calibri del jazz moderno, ma il suo bello è che non venne mai meno alla sonorità e a quell’approccio caratteristico del trombone classico; somiglia pochissimo, per intenderci, a J. J. Johnson.

 Non esagera in fondo Bill Coss, autore delle liner notes di questo bellissimo disco del 1960, quando scrive che «nel trombone di Bennie Green risiede il cuore del retaggio jazzistico»Il disco ci mostra nella luce migliore anche Jimmy Forrest, tenorista con la qualità sonora e l’espressività un po’ greve dei tenori r’n’b degli anni Cinquanta ma la disinvoltura di fraseggio di un bopper di classe.

 Summertime (Heyward-Gershwin-Gershwin), da «Hornful of Soul». Bethlehem. Bennie Green, trombone; Jimmy Forrest, sax tenore; Archie Hall, organo; Wyatt Ruther, contrabbasso; Art Taylor, batteria; Tommy Lopez, conga. Registrato nel dicembre 1960.

 Lowland-ism (Babs Gonzales), ib.; c.s. più Lem Davis, sax altro; Mal Waldron, piano, al posto di Hall.

 Catwalk (Waldron), id.

martedì 10 gennaio 2023

Angel – Little Wing (Gil Evans)

 Non so se a tutti i frequentatori dei social media, segnatamente Facebook, sia capitato come a me in questi giorni di vedere una quantità di post su Jimi Hendrix. Io mi ero per questo persuaso dovesse ricorrere qualche anniversario relativo al chitarrista, che però era nato in novembre e morto in settembre. Boh.

 Comunque qui abbiamo il famoso disco del 1975 nel quale Gil Evans interpreta canzoni di Hendrix, con qualche anno di ritardo su un progettato incontro discografico dei due. La natura non jazzistica del repertorio non incide sull’impegno profuso da Evans nelle partiture, che sono, pur in consonanza con lo spirito degli originali e nell’uso di strumenti e ritmiche rock, ancora distintamente evansiane: parlo di impegno perché nei successivi incontri di Gil Evans con un musicista di quell’ambito, cioè Sting, a me Evans è parso rinunciatario e non veramente coinvolto; ebbi quest’impressione anche ascoltando i due in persona a Umbria Jazz, sullo scorcio finale degli anni Ottanta.

 Little Wing qui è presente in una versione diversa e meno concisa (o almeno mi sembra così: non ho al momento modo di controllare) di quella che compare in un altro disco di Evans del periodo, «There Comes A Time». A cantare è sempre Hannibal Peterson.

 Angel (Hendrix), da «Plays the Music of Jimi Hendrix», RCA. «Hannibal» Marvin C. Peterson, Lew Soloff, tromba; Tom Malone, trombone, sintetizzatore, flauto, basso; Peter Gordon, corno francese; Howard Johnson, clarinetto basso; David Sanborn, sax alto; Billy Harper, sax tenore; Trevor Koehler, sax tenore, flauto; David Horowitz, piano elettrico, sintetizzatore; Peter Levin, sintetizzatore; John Abercrombie, Keith Loving, Ryo Kawasaki, chitarra; Michael Moore, Don Pate, basso: Warren Smith, campane, percussioni, vibrafono; Bruce Ditmas, batteria; Susan Evans, conga, batteria. Registrato nel giugno 1974.

 Little Wing (Hendrix), ib.; Peterson, Soloff, Ernie Royal, tromba, flicorno; Tom Malone, Joe Daley, trombone; Peter Gordon, John Clark, corno francese; David Sanborn, sax alto, soprano, flauto; George Adams, sax tenore; Howard Johnson, sax baritono, clarinetto basso, tuba; Bob Stewart, tuba; David Horowitz, sintetizzatore, organo; Ryo Kawasaki, chitarra; Paul Metzke, basso elettrico, sintetizzatore, koto; Herb Bushler, basso elettrico; Bruce Ditmas, tabla, cuica, percussioni; Joe Gallivan, drum synthesizer, campane; Warren Smith, marimba, campane, gong, vibrafono, tamburo intonato; Sue Williams, percussioni; Tony Williams, batteria. Stessa data.

sabato 7 gennaio 2023

April in Paris (Thad Jones)

 Thad Jones è ricordato più per i suoi meriti di arrangiatore e bandleader che per quelli di trombettista (e cornettista), eppure era uno strumentista eccelso – per Mingus, il migliore che avesse mai sentito sullo strumento – e immediatamente riconoscibile per il suono aperto e il fraseggio ricercato.

  In questa April In Paris (lenta, quasi cauta e stupita, come anche gli altri pezzi del disco) Thad apre il suo assolo citando la canzone popolare Pop, Goes The Weasel, proprio come aveva fatto nell’esecuzione famosa di Count Basie a cui aveva preso parte quello stesso anno. Osserva Bob Blumenthal nelle note alla riedizione del disco: «Questa versione di April in Paris fa pensare che Jones avesse prestato attenzione alle sospensioni accordali così come Miles Davis cominciava ad adoperarle nel suo primo grande quintetto, un approccio che aveva interessato particolarmente Davis quando l’aveva sentito nel trio di Ahmad Jamal».

 April In Paris (Duke-Harburg), da «The Magnificent Thad Jones», Blue NOte 0946 3 92768 0. Thad Jones, tromba; Billy Mitchell, sax tenore; Barry Harris, piano; Percy Heath, contrabbasso; Max Roach, batteria. Registrato il 14 luglio 1956.

venerdì 6 gennaio 2023

Good Gravy – The Cellar Dweller – Avalon (Teddy Edwards)

 Ci fu vita sulla West Coast, intendo, fra i musicisti che avevano animato il West Coast jazz, anche dopo il tramonto del West Coast jazz vero e proprio, che a ben vedere durò ben poco, grosso modo dal 1952, anno delle prime incisioni del quartetto Mulligan-Baker, al 1956-57.

 Teddy Edwards, di cui su Jazz nel pomeriggio ho parlato diverse volte, era un californiano che per la verità con il West Coast in quanto stile ebbe poco a che vedere. Era un affascinante, personale sax tenore ma anche un arrangiatore e compositore di talento e mestiere, teste questa session del 1960 che ci permette anche di ascoltare quell’altro eccentrico di Jimmy Woods, un artista interessantissimo che non diede più notizia di sé dopo il 1966.

 Se da una parte i pezzi di questo disco richiamano, anche per il tipo di formazione e per il repertorio scelto, il West Coast «di scuola», dall’altra hanno un’edge, un’urgenza sonora ed espressiva, una franchezza ritmica che dimostrano che i tempi erano cambiati.

 Good Gravy (Edwards), da «Back To Avalon», Contemporary CCD-14074-2. Nathaniel Mees, tromba; Lester Robertson, trombone; Jimmy Woods, sax alto; Teddy Edwards, sax tenore; Modesto Brisenio, sax baritono; Danny Horton, piano; Rogers Alderson, contrabbasso; Larance Marable, batteria. Registrato nel dicembre 1960.

 The Cellar Dweller (Edwards), id.

 Avalon (Jolson-De Silva-Rose) (take 1), id.

giovedì 5 gennaio 2023

But Not For Me – Dream Of Monk (Fred Hersch & esperanza spalding)

 Mi fa dispiacere, ed è la seconda volta in poco tempo, non poter dire bene di un disco di Fred Hersch, che tanto ammiro come musicista e, anche se non lo conosco, come persona.

 La primavera scorsa si era trattato del disco con il quartetto d’archi; ora di un duetto d’imminente uscita, live at the Village Vanguard, con la cantante esperanza spalding (le iniziali minuscole, come per e.e. cummings, sono requisito dell’artista stessa).

 Non mi è di grande sollievo il fatto che stavolta l’insuccesso del lavoro non sia da attribuire a Hersch, che vi suona bene, ma alla spalding, della quale potrei dire molto ma decido invece di non dire niente, da tanto la sua prestazione mi è sembrata orribile sotto tutti i punti di vista. 

 Per giunta, la ripresa dal vivo non ci risparmia il banter della cantante con il pubblico: non che spiritoso o disinvolto, imbarazzante. Al proposito meriterà che riporti dalla press release* questa chiosa alla molto scadente versione di Girl Talk che qui si ascolta: «Il motivetto maschilista (chauvinistic) di Neal Hefti e Bobby Troup è sottoposto qui a un caustico esame da una prospettiva non soltanto femminista, ma anche eco-consapevole».

 L’omaggio a Monk è una composizione di Hersch francamente insulsa, frammenti monkiani o pseudo-tali contesti fra loro, con dei versi in tutto adeguati.

* Dove un tempo avevamo le liner notes, infatti, oggi abbiamo le press release; dove un tempo i critici o, nei casi sfortunati, i giornalisti musicali, oggi i PR people.

 But Not For Me (G.& I. Gershwin), da «Alive At The Village Vanguard», Palmetto. esperanza spalding con Fred Hersch, piano. Registrato nell’ottobre 2018.

 Dream Of Monk (Hersch), id.

mercoledì 4 gennaio 2023

Milano (The Jazztet)

 John Lewis nel 1956 dedicò a Milano questa ballad di caratteristica ispirazione melodica; si contiene nell’LP «Django» del MJQ. Lewis avrebbe avuto a che fare direttamente con Milano ancora nel 1962, quando provvide la musica a una pellicola dimenticata di Eriprando Visconti, «Una storia milanese»

 La versione del Jazztet di Benny Golson e Art Farmer, in questo disco del 1960 dedicato tutto alla musica di Lewis, è molto diversa dall’originale, meno atmosferica e più vicina alla temperie dell’hard bop, sia pure nelle mani di musicisti emotivamente contenuti come Farmer, Golson e Walton. A me, tuttavia, la versione originale del MJQ pare più «milanese», per come riusciva a cogliere una qualità delicata e umbratile, che spesso sfugge a chi la visita e anche a chi vi abita, della mia bella città, dove torno sempre con piacere. 

 Milano (Lewis), da «The Jazztet and John Lewis», Argo LP 684. Art Farmer, tromba; Thomas McIntosh, trombone; Benny Golson, sax tenore; Cedar Walton, piano; Thomas Williams, contrabbasso; Albert Heath, batteria. Registrato il 20 dicembre 1960.


martedì 3 gennaio 2023

Invisible Words – Breathing Altered Air (Falkner Evans)

 Falkner Evans è un pianista immagino fra i sessanta e i settanta, originario dell’Oklahoma, terzo cugino di William Faulkner, m’informa la press release di questo disco uscito nel 2021. Evans risiede a NY e ha avuto delle collaborazioni importanti. Io non l’avevo mai sentito nominare.

 Questa è una seduta di piano solo occasionata da una sua circostanza esistenziale triste, la morte della moglie nel 2020; la musica che ne è uscita è sommessa e ruminativa ma non disperata e intrisa di presagi cupi come lo fu, per dire, «You Must Believe In Spring», registrato da Bill Evans a seguire la morte, pure di propria mano, del fratello.

 Falkner Evans inventa una musica essenziale, di passo misurato che cambia poco o per nulla nel corso degli otto pezzi del disco; musica intima ma non «monologica», che non esclude né allontana l’ascoltatore, anzi: sembra chiedergli, con garbo, di fermarsi a prestarle ascolto.

 Invisible Words (Evans), da «Invisible Words», Consolidated Artists Productions CAP 1070. Falkner Evans, piano. Registrato l’11 gennaio 2021.

Breathing Altered Air (Evans), id.

giovedì 8 dicembre 2022

K-4 Pacific (Gerry Mulligan)

 Stimolato da un mio amico che l’ha nominato, ho riascoltato questo dimenticato da anni. Gerry Mulligan tornava alla discografia dopo un certo intervallo di tempo, con un jazz colorato di pop, molto 1971, molto piacevole.

 K-4 Pacific (Mulligan), da «The Age of Steam», A&M SP-3036. Harry “Sweets” Edison, Roger Bobo, tromba; Bob Brookmeyer, trombone a pistoni; Jimmy Cleveland, trombone; Ken Shroyer, trombone basso; Bud Shank, sax alto; Tom Scott, Ernie Watts, sax tenore, flauto; Gerry Mulligan, sax baritono; Roger Kellaway, piano; Howard Roberts, chitarra; Chuck Domanico, contrabbasso; Joe Porcaro, batteria. Registrato nel luglio 1971.

lunedì 5 dicembre 2022

Sin Street (Pete LaRoca Sims)

 Le turcherie, effetto collaterale nella musica, nell’arte e nel costume europei delle guerre contro i Turchi (e particolarmente della battaglia di Lepanto, 1571) sono arrivate a influenzare indirettamente il jazz, come riflesso di certe musiche sette- e ottocentesche da salon, e anche direttamente, come dimostra fra l’altro questo disco del 1967 del batterista Pete LaRoca Sims, molto bello e molto avanzato (peccato che PLRS, il batterista originale del quartetto di Coltrane, abbia di lì a poco abbandonato per molti anni la musica per mattersi a fare, go figure, l’avvocato…).

  In copertina il disco ha Le Bain Turc di Dominique Ingres, proprio come avrebbe avuto «Electric Bath» di Don Ellis, inciso nel settembre di quell’anno e contenente la famosissima turcheria Turkish Bath nell’allora esotico tempo di 7/4. Ma anche il tempo pari di questa sorta di blues turco di LaRoca cela una curiosa divisione interna, 2+4+2.

  Sin Street (Pete LaRoca Sims), da «Turkish Women at the Bath», 32 Jazz CD 32052. John Gilmore, sax tenore; Chick Corea, piano; Walter Booker, contrabbasso; Pete Laroca Sims, batteria. Registrato il 25 maggio 1967.

sabato 3 dicembre 2022

Night and Day (Vijay Iyer)

 Mi ha entusiasmato questa versione di Night and Day di Vijay Iyer, un musicista che mi sembra diventare via via più bravo (questo è uno dei suoi ultimi dischi); o almeno, a me piace sempre di più con tempo, laddove sulle prime non mi aveva persuaso.

 Bene alla sua altezza sono gli altri due; il batterista Sorey ha una carriera parallela, o forse convergente, di compositore «concertistico».

 Night and Day (Porter), da «Uneasy», ECM. Vijay Iyer, piano; Linda Oh, contrabbasso; Tyshawn Sorey, batteria. Registrato nel 2020.

venerdì 2 dicembre 2022

Love, Gloom, Cash, Love (Herbie Nichols) RELOAD

Reload dal 21 settembre 2011 

 Che disastro che Herbie Nichols non abbia potuto suonare e incidere di più con musicisti al suo livello. Con lui, anche gente come Roach, Blakey, Richmond, per tacere dei contrabbassisti, suonavano addirittura meglio del loro solito.

  Love, Gloom, Cash, Love (Nichols), da «Love, Gloom, Cash, Love», Betlehem/Rhino 76690. Herbie Nichols, piano; George Duvivier, contrabbasso; Danny Richmond, batteria. Registrato nel novembre 1957.

giovedì 1 dicembre 2022

Surrounding – Trees for the Forest – Trembling (Caleb Wheeler Curtis)

 Caleb Wheeler Curtis suona il sax alto e il soprano e compone le musiche che suona: ha trentasette anni, viene dal Michigan, è bianco. È un protetto del pianista Orrin Evans, che ha prodotto questo come i precedenti due dischi di Curtis per la sua casa discografica Imani.

 Da questo disco, Curtis esce un musicista riflessivo, poco sollecito di una musica e di un linguaggio solistico incalzanti e di immediata presa ritmica. La sua sonorità, quando non richiami Ornette (cosa che fa esplicitamente in Surrounding) è un po’ sfocata, sabbiosa, volutamente così poco autorevole fino a risuonare timida.

 Il disco si dichiara concepito nel corso di una residence che dev’essere stata bucolica a Peterborough, NH, come «MacDowell fellow» e ne porta secondo me gli indizi nel suo passo deliberato, ruminativo, in certo modo doveroso, quasi di chi senta di doversi attenere a un progetto, come da lui ci si aspetta. Musica ben fatta da musicisti competenti a dire poco, ma che mi ha dato l’impressione di marciare sul posto, un’impressione corroborata dal fatto che, della relativa larghezza delle maglie nell’armonia delle composizioni di Curtis, nessuno dei quattro si sente invogliato ad approfittare. La musica si sostiene alla fine sull’impalcatura robusta di una ritmica di pezzi grossi.

 Il programma si svolge sagacemente in pezzi brevi, e sono parecchi, dieci; sono arrivato in fondo non dirò stanchezza, ma con un piccolo sforzo dell’attenzione.

 Direi che mi vale la pena aspettare Curtis – che mi sembra più attrezzato come sopranista – al prossimo suo disco.

 Surrounding (Curtis), da «Heatmap», Imani. Caleb Wheeler Curtis, sax alto; Orrin Evans, piano; Eric Revis, contrabbasso; Gerald Cleaver, batteria. Registrato il 20 luglio 2021.

 Trees for the Forest (Curtis), id. ma Curtis suona il sax soprano.

 Trembling (Curtis), id.

martedì 29 novembre 2022

It Don’t Mean A Thing (If It Ain’t Got That Swing) – Don’t Blame Me – Snowy Morning Blues (Sammy Price)

 Sammy Price (1908-1992), texano, formatosi professionalmente a Kansas City come un altro musicista che gli è spesso accostato, Jay McShann, si affermò a New York come pianista accompagnatore in tante sedute di registrazione della Decca, conosciuto soprattutto per le sue capacità nel boogie e per la sua inclinazione blues.

 Price non era tuttavia un musicista folk come i classici pianisti del boogie woogie (Jimmy Yancey viene alla mente), ma un musicista di esperienze e orizzonti più vasti e di variate risorse strumentali, come dimostra questo tardo disco in assolo registrato in Canada nel 1979. Il blues nelle esecuzioni è sempre presente, se non come forma, certo come linguaggio. Snowy Morning Blues, il ragtime di James P. Johnson, si presenta qui radicalmente ristrutturato, in forma di canzone.

 It Don’t Mean A Thing (If It Ain’t Got That Swing) (Ellington-Mills), da «Sweet Substitute», Sackville 3024. Sammy Price, piano. Registrato il primo novembre 1979.

 Don’t Blame Me (Fields-McHugh), id.

 Snowy Morning Blues (Johnson), id.

lunedì 28 novembre 2022

Sunday (Coleman Hawkins)


 Sunday (Miller-Styne), da «Coleman Hawkins and Confrères», Verve. Roy Eldridge, tromba; Coleman Hawkins, sax tenore; Hank Jones, piano; George Duvivier, contrabbasso; Mickey Sheen, batteria. Registrato nel 1957.