«Dovrei stare in pensiero per Gennaro Fucile? Di recente vedo quel caro uomo via via smateriarsi per (così apprendo da questo guest post) riconfigurarsi nel futuro». Così parlò il nostro ospite lo scorso 9 maggio, nel presentare un contestatissimo guest post e le cose sono anche andate avanti.
Nel tentativo di recuperare il «caro uomo», l’audace Bertoli si
è lanciato in un viaggio nel tempo animato dallo stesso spirito della pattuglia
inviata a salvare il soldato Ryan. Ora trovarsi di fronte un panzer animato da
cattive intenzioni può procurare guai seri, ma anche maneggiare la macchina del
tempo senza conoscerne perbene i vari marchingegni che la governano ci può
rendere la vita difficile. Così è stato per il nostro viaggiatore alle prime
armi (o forse scafatissimo, ma i modelli di time machine – è noto – hanno un
elevato tasso di obsolescenza). Morale: nell’avventurarsi nei paraggi del 2050,
si è smarrito. Dov’è Bertoli? Chissà chi lo sa, come recitava il titolo della
trasmissione condotta da Febo Conti ed emularlo, ovvero mettersi sulle sue
tracce, cercarlo è stato inevitabile, come un imperativo morale, o quasi. Che
si fa in questi casi? Si parte da dove si può ipotizzare si sia diretto, ovvero
il 2050, ma lì la sua confusione deve essere stata tale da rendere comunque
inevitabile pasticciare con le coordinate temporali.
Ricordiamoci che nel post citato si augurava di non arrivare
a vivere fino al punto di ritrovarsi in tempi segnati da musica di “bruttezza sesquipedale” (così nel commento del pubblico
di JNP e come non condividere un
simile stato d’animo). Non restava che cercare in tempi migliori, quelli dove i
jazzisti non irritavano, si facevano capire subito da grandi masse, non
scoraggiavano l’ascoltatore, anche il più paziente, insomma, gente come Thelonious Monk, per capirci. Macché, nessun indizio del
suo passaggio da quelle parti. Poi l’occhio è caduto su un quadrante
secondario, un anno ponte tra due decenni: il 1970. Insomma, un nascondiglio
ideale (i viaggiatori nel tempo lo sanno bene: negli anni cerniera si sprecano
gli anfratti ideali per trovar riparo). I VU meeter (qui i nuovi modelli con
display digitale ancora non si vedono) si agitavano a ritmo crescente, un segno
eloquente: catturavano segnali di presenza. In questi casi occorre far ruotare
la manopola del volume per capirci qualcosa … ed eccolo il nostro ospite, prima
rapito dalla macchina del tempo, ora dai suoni della morbida macchina… ma come
farà sentire certe cose? Sentite qui che diavolo stava ascoltando (di
tornarsene, per ora, non ne ha voluto sapere).
Facelift (Hopper), da «Third», Sony/Columbia CGK 30339. Elton
Dean, sax alto, saxello; Lyn Dobson, flauto; Mike Ratledge, organo,
piano elettrico; Hugh Hopper, basso elettrico; Robert Wyatt,
batteria. Registrato il 4 gennaio 1970.
3 commenti:
è difficile e pericoloso mettere mano e orecchio a cose ascoltate fino ad appena trentacinque anni fa,si rischia di arrossire o di aver voglia di correre a nascondersi.
nel 1970 la macchina morbida eruttava idee nuove e difficili per chi arrivava dal disco per l'estate,dai bee gees,da quei tamarri dei led zeppelin,ma erano idee e suoni nuovi e imprevedibili ed emozionanti.
per rigirare il coltello nella piaga e spargerci sopra anche del sale,ribadisaco che i necks mi hanno annoiato.
certe idee nel 1999 sono cosi' vecchie che sembrano fatte della stessa sostanza di cui è fatto il nulla.
(naturalmente è anche vero che io sono un cialtrone incapace di distinguere un capolavoro da una pernacchia. :) )
Gran disco questo, a mio avviso.
Un gran biglietto da visita per Wyatt e Allen, i quali in seguito hanno avuto modo di stupirci ulteriormente.
Ah! Qui Allen era già volato altrove...!
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