martedì 4 agosto 2020

Carolyn - Up a Step (Hank Mobley)

  Nella cannonata di disco di Hank Mobley che è «No Room For Squares» (1963), Mobley è inserito in due complessi di indirizzo stilistico avanzato per l’epoca e soprattutto per lui: in uno il pianista è Andrew Hill, in rara apparizione da sideman, nell’altro Herbie Hancock, che proprio quell’anno cominciava a lavorare nel quintetto di Miles Davis.

  Mi interessa in particolare la seduta con il secondo gruppo. Mobley vi esegue due sue composizioni, e Up a Step lo vede avvicinarsi al modalismo che all’epoca era già in voga (up a step, cioè «sopra di un tono»: è la distanza fra i due modi del tema, similmente a quanto avviene in Impressions e in So What). Nel suo assolo, Hank mostra una superficiale vernice coltraniana, ma ti faccio osservare come continui a ragionare in termini di accordi, delineando nelle zone cadenzali dei chorus l’accordo di dominante, di contro a quanto fanno Donald Byrd, nell’occasione più milesiano del consueto, e soprattutto Herbie Hancock, il quale si muove in un ambito stilistico già più avanzato.

  Carolyn (Morgan), da «No Room For Squares», Blue Note CDP 7 84149-2. Lee Morgan, tromba; Hank Mobley, sax tenore; Andrew Hill, piano; John Ore, contrabbasso; Philly Joe Jones, batteria. Registrato il 2 ottobre 1963.

  Up a Step (Mobley), id. ma Donald Byrd, Herbie Hancock e Butch Warren al posto di Morgan, Hill e Ore. Registrato il 7 marzo 1963.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante e stimolante quello che hai scritto. Al povero Mobley credo fosse venuto un complesso d'inferiorità, per quella storia... Ma sì, dai, quella che gli assegnava il titolo di campione mondiale dei pesi medi (peraltro la mia categoria di peso preferita, quando si parla di guantoni...), dando a Rollins il titolo dei massimi (Coltrane era ormai fuori range, era andato a parlare con dio ed esplorava le alte nebulose) e a qualche vecchio leone quello dei mediomassimi. E così in questo fantastico disco si trova a fare, benissimo, il pesce un pò fuor d'acqua. Ma proprio contesto per lui insolito e coordinate espressive che lo costringono a spostarsi in avanti a passi un tantino incerti, tutto questo rende l'album ancora più interessante e gli impedisce di adagiarsi su quella routine, seppure di alto livello, che gli era stata spesso compagna di viaggio. Hill che fa Hill, Hancock che fa Hancock, Byrd che fa meno Byrd del solito e più Miles, Mobley che vorrebe fare Trane ma poi è sempre Mobley, cavolo, il modale che s'intrufola tra le pieghe dure e pure dell'hard bop, accordi che non vogliono dissolversi ma poi in parte si sgretolano... Ed invece di venire fuori un casino senza identità, da questo apparente pateracchio sorte un disco che non finiresti mai di ascoltare: misteri della fede. Sia benedetta la Blue Note!
M.G.

Marco Bertoli ha detto...

La figura di Mobley sta venendo fuori alla distanza e i suoi tanti lavori Blue Note assumono, come hai osservato, un profilo sempre più caratteristico e definito. Per me, e tu lo sai, lasciando stare Coltrane e Rollins, Mobley non ha pari fra i sax tenori di quel periodo: personalmente lo metto anche prima di Dexter Gordon.