Monk «contiene moltitudini», come tutti i veri artisti, ma senz’altro la direttrice principale della sua poetica delinea un’angoscia ineffabile e fredda, un senso di dislocazione. È tanto più per questo che colpiscono e commuovono i suoi momenti di serenità e di apparentemente inadulterato buonumore. Uno lo abbiamo incontrato pochi giorni fa, un altro è in questa luminosa seduta in assolo registrata quasi casualmente a Parigi nel 1954, a conclusione della sua prima e piuttosto avventurosa - e tutto considerato tutt’altro che lieta – traversata atlantica in occasione del Salon du Jazz di quell’anno.
Qui Monk esegue Evidence, forse la sua composizione più caratteristica e una delle più geniali, che in assolo assume dei caratteri insospettati, e poi la più distesa Wee See (nota altrove come Portrait of an Ermite).
Evidence (Monk), da «Piano Solo», Vogue/BMG France 74321409362. Thelonious Monk, piano. Registrato il 7 giugno 1954.
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We See (Monk), id.
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Dici davvero che la direttrice principale della sua poetica delinea un’angoscia ineffabile e fredda ?
RispondiEliminaIo ci ho sempre sentito sicuramente un senso di inquietudine in senso più ampio possibile, come una mancanza di quiete. Al tempo stesso mi sembra che tutto venga immerso in un'ironia giocosa, a volte pungente, ma a volte addirittura "giocherellona". Qual'era l'intervista, la testimonianza o cosa (forse del figlio) che diceva che lui giocava (play) sempre... con la musica, con le parole, con i nipoti/figli... ?
Diciamo che di angoscioso, anche quando occasionalmente è giocoso, in Monk c'è sempre un senso di isolamento e di ossessione un po' autistica: al proposito, ritrovati qui sopra domani mattina (22 dicembre).
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