Instinctive Touch(Shipp), da «The Conduct Of Jazz», Thirsty Ear Recording 57211. Matthew Shipp, piano; Michael Bisio, contrabbasso; Newman Taylor Baker, batteria. Registrato nel 2015.
Io penso che Matthew Shipp funzioni come nella celebre barzelletta sui carabinieri: adesso sì, adesso no, adesso sì, adesso no... Ma penso anche che qui, ora, con questa formazione dia il meglio di sé.
Se vorrete leggere il non molto che ne ho scritto qui sopra, vedrete che la penso grosso modo come Paolo: un pianista un po' hit and miss; mi erano piaciute molto cose sue di una ventina d'anni fa, molto promettenti, poi molto meno quasi tutte le altre, e sono tornato ad ascoltarlo con interesse con quest'ultimo (la lettrice Isabella mi segnala anche «Songs», non recente, e credo di ricordare che anche Negrodeath sia un suo ammiratore).
Mi era poi sembrato che in un'intervista o articolo avesse parlato un po' a vanvera di Keith Jarrett, ma questa è un'altra faccenda.
Parlare a vanvera di Keith Jarrett è uno sport amato da molte e diverse categorie, i pianisti classici, i jazzisti neri, i promoter dei grossi festival extra americani, e alcuni neo convertiti all'integralismo di classe, i quali per definire la loro indefinita figura, fanno il gioco intellettualmente non onesto di compararsi indirettamente, giudicandolo in superficie. Credo principalmente che al buon Keith non si perdoni lo sfacciato talento e la enorme mole di capolavori che ha prodotto, come pianista, come improvvisatore, come compositore e come jazzista. Con tanto di esperimenti-ciofeche qua e là. Ma credo anche che tutti siano toccati dalla luce della sua musica.
Ora non posso ascoltare questo album, ma ritengo Songs un bellissimo disco, dove emerge la notevole capacità nel riuscire a coinvolgere per l'intero disco senza stancare mai, il pianoforte unico strumento è portato a un grado altissimo di possibilità.
Bè, non è un virtuoso scalatore di vette, ma il marchio del jazz io ce lo vedo, inconfondibile.
RispondiEliminamah...
RispondiEliminae però questo mah mi piace, ...però...
RispondiEliminaIo penso che Matthew Shipp funzioni come nella celebre barzelletta sui carabinieri: adesso sì, adesso no, adesso sì, adesso no... Ma penso anche che qui, ora, con questa formazione dia il meglio di sé.
RispondiEliminaSe vorrete leggere il non molto che ne ho scritto qui sopra, vedrete che la penso grosso modo come Paolo: un pianista un po' hit and miss; mi erano piaciute molto cose sue di una ventina d'anni fa, molto promettenti, poi molto meno quasi tutte le altre, e sono tornato ad ascoltarlo con interesse con quest'ultimo (la lettrice Isabella mi segnala anche «Songs», non recente, e credo di ricordare che anche Negrodeath sia un suo ammiratore).
RispondiEliminaMi era poi sembrato che in un'intervista o articolo avesse parlato un po' a vanvera di Keith Jarrett, ma questa è un'altra faccenda.
Parlare a vanvera di Keith Jarrett è uno sport amato da molte e diverse categorie, i pianisti classici, i jazzisti neri, i promoter dei grossi festival extra americani, e alcuni neo convertiti all'integralismo di classe, i quali per definire la loro indefinita figura, fanno il gioco intellettualmente non onesto di compararsi indirettamente, giudicandolo in superficie. Credo principalmente che al buon Keith non si perdoni lo sfacciato talento e la enorme mole di capolavori che ha prodotto, come pianista, come improvvisatore, come compositore e come jazzista. Con tanto di esperimenti-ciofeche qua e là. Ma credo anche che tutti siano toccati dalla luce della sua musica.
RispondiEliminaOra non posso ascoltare questo album, ma ritengo Songs un bellissimo disco, dove emerge la notevole capacità nel riuscire a coinvolgere per l'intero disco senza stancare mai, il pianoforte unico strumento è portato a un grado altissimo di possibilità.
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