Io voglio bene a Sergio Pasquandrea, fra l’altro perché ha colto in pieno lo spirito di Jazz nel pomeriggio: condividere una cosa bella che capiti di sentire.
Confesso: fino a qualche giorno fa, nemmeno sapevo chi fosse JD Allen. Ho pescato il cd fra un mucchietto di altri che mi erano stati inviati da recensire, attratto più che altro dal nome; e – a dirla proprio tutta – credo addirittura di averlo confuso con qualcun altro.
Comunque: potenza della serendipità, è stata una bella scoperta. Allen non è più un ragazzino (risulta nato a Detroit nel 1972), ma ha cominciato a pubblicare regolarmente come leader solo da tre o quattro anni. Sassofonista dal linguaggio contemporaneo, ma con i piedi saldamente piantati nella tradizione: suono scuro, fraseggio affilato, piglio autorevole.
Quelle che propongo sono la prima e la terza traccia del suo ultimo lavoro. Notare che in The Matador and the Bull la batteria procede in tre, il basso in cinque e il sassofono in quattro, mentre Ring Shout è in sette: ma il risultato non si trasforma mai in solfeggio, come invece succede spesso in simili esperimenti, bensì conserva un solido legame con il groove. «La matematica non è importante quanto il senso ritmico», chiosa Allen nelle note di copertina. «Invece che attenersi strettamente al gioco numerico, preferiamo avere un po’ di funk».
I due brani, come tutti quelli del disco, sono brevi. Sempre nelle note di copertina, Allen scrive: «L’hanno chiamata la mia “estetica da juke-box”, ma non è un trucco commerciale. È vero che sono abbastanza vecchio da ricordarmi l’era pre-cd; e c’è una parte di me a cui piacerebbe ascoltare la mia musica su LP in vinile, come il jazz della mia adolescenza».
Insomma, JD mi sta proprio simpatico.
The Matador and the Bull (Torero) (Allen), da «The Matador and the Bull», Savant SCD 2121. JD Allen, sax tenore; Gregg August, contrabbasso; Rudy Royston, batteria. Registrato il 20 febbraio 2012.
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Ring Shout (Allen), id.
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